SEO: cos’è l’ottimizzazione per i motori di ricerca

Quando si discute di SEO in Italia, è pratica comune e più o meno accettata fare riferimento a una disciplina che parla grosso modo di parole chiave e link. Questo perché, quando i primi curiosi hanno iniziato a sperimentare le strategie per incrementare il traffico di un sito web attraverso il posizionamento di parole chiave, non esisteva una reale educazione al marketing digitale. 

Almeno, non dalle “nostre parti”.

Nell’ultimo decennio, l’ottimizzazione per i motori di ricerca si è evoluta a tal punto che, se si tornasse per magia indietro di una decade, probabilmente si farebbe molta fatica a riconoscerla. É cambiata non tanto per il modo in cui la SEO si fa, quanto più che altro per i suoi obiettivi e le sue potenzialità, un tempo latenti ma oggi (più o meno) riconosciute.

In questo articolo voglio parlare della SEO per com’era e come può essere intesa oggi, cercando di capire un po’ di più cosa significa *fare SEO* in relazione a un’attività di Digital Marketing.

Bando alle ciance: andiamo dritti al sodo e diamo uno sguardo più da vicino a cos’è l’ottimizzazione per i motori di ricerca.

Le basi della SEO: acronimo e definizione

Il termine SEO deriva dall’americano Search Engine Optimization. Tradotto alla lettera in italiano, sta per Ottimizzazione per i Motori di Ricerca.

La definizione di SEO, dal mio personale e professionale punto di vista, è questa:

La SEO è l’attività di Digital Marketing che si occupa di analizzare, comprendere e fornire risposte agli utenti, quando questi esprimono una domanda consapevole attraverso i motori di ricerca.

Me medesimo

Probabilmente ho già messo molta carne al fuoco ma abituati, lettore: la SEO – per quanto molti la presentino come una disciplina semplice –  letteralmente vive di altre materie, di sfumature e sottigliezze che possono rendere più o meno efficace il lavoro su un progetto.

In origine, e in parte ovviamente ancora oggi, la SEO era intesa esclusivamente come un’attività rivolta a facilitare il compito dei motori di ricerca nel comprendere quello che gli diciamo con i nostri testi, le nostre immagini, il codice che scriviamo o i video che registriamo. 

Il nostro lavoro, per definizione, è ottimizzare: non tanto creare, quanto rendere migliore un contenuto, qualsiasi sia la sua natura mediatica, inteso nel senso letterale di medium.

Fin qui, era effettivamente piuttosto semplice. Peccato che la SEO non sia più soltanto questo. L’attenzione si è spostata su un altro elemento dell’equazione, un tempo sottovalutato ma oggi protagonista assoluto del nostro lavoro. 

Hai indovinato chi è? Esatto: l’utente.

La domanda consapevole

L’utente è cambiato. Forse sarebbe meglio dire che è sempre stato com’è oggi, ma i motori di ricerca e molti SEO per lungo tempo non se ne sono accorti o non sono riusciti a capirlo.

Da un’analisi condotta in due parti, fra il 2020 e il 2023, e denominata “Marketing in the Messy Middle”, Google afferma che:

Le persone prendono le decisioni in modo, beh, confusionario. Abbiamo analizzato centinaia di ore di processi di acquisto per 32 diverse categorie in oltre 25 paesi. Abbiamo visto persone saltare da un sito all’altro, in quello che all’inizio sembrava un comportamento totalmente casuale. Questa analisi ci ha portato a identificare un territorio specifico all’interno di quel labirinto fatto di ricerche, annunci, link e clic coinvolti nell’acquisto. Ciò che noi chiamiamo “messy middle”.”

Prefazione al documento “Marketing in the Messy Middle”, 2023

Il documento non è pensato specificamente per la SEO o per i SEO Specialist. Il suo obiettivo è fornire una panoramica di come i consumatori si muovono online quando cercano informazioni legate al soddisfacimento di un obiettivo, e di come siano identificabili alcuni pattern che possono essere utilizzati per rendere l’esperienza dell’utente, nella totalità del suo customer journey, il più soddisfacente possibile.

Il significato di domanda consapevole, che in questo post toccheremo soltanto a latere e non approfondiremo, è esattamente quanto espresso nel paragrafo precedente: le informazioni che i consumatori cercano quando approcciano un prodotto o un servizio di cui sentono desiderio, necessità o qualsiasi altra emozione che possa portarne a considerare l’acquisto.

Nell’ultimo decennio, la capacità degli utenti di cercare sui motori di ricerca per raggiungere un obiettivo è cresciuta esponenzialmente. Dall’utilizzo di parole chiave estremamente vaghe alla scelta di digitare query molto più articolate, il processo di accrescimento della capacità di utilizzo dei motori di ricerca ha generato effetti altamente impattanti sulle capacità e possibilità dei motori di ricerca stessi nel fornire risposte.

Nell’immagine precedente, che trovi a pagina 17 del già citato documento di Google sul Messy Middle, viene mostrato come l’abitudine di ricerca legata agli abiti da sposa femminile sia radicalmente cambiata nell’intervallo di tempo che intercorre fra il 2017 e il 2022. Se, inizialmente, a dominare le ricerche in questo senso erano parole chiave estremamente generiche, come “wedding dresses” o addirittura il vaghissimo “dresses”, nel corso degli anni la specificità con cui gli utenti hanno cercato informazioni sugli abiti nuziali è passata attraverso varie specificazioni: 

  • “princess wedding dress”, “wedding guest dress” e “wedding dress london” nel 2019;
  • “wedding guest outfits for over 50s”, “floaty dress for wedding guest”, “long sleeve dress for wedding guest” e “teal dress for wedding” nel 2022.

Ora, perché questo è successo? Perché il motore di ricerca ha accumulato un numero maggiore di informazioni rispetto ai suoi albori, acquisendo la capacità di suggerire domande più specifiche e fornire risposte più accurate? Perché gli utenti hanno imparato che possono cercare informazioni più specifiche, ottenendo comunque risposte attendibili? Perché la quantità di informazioni disponibili sul web è cresciuta esponenzialmente, anno per anno, negli ultimi 10-15 anni?

Probabilmente tutte le asserzioni precedenti sono corrette, e altre ancora andrebbero sommate. Al di là del perché, è fondamentale per l’economia di questo post acquisire un concetto di fondo: la domanda consapevole è cambiata.

E se è cambiato l’obiettivo di chi fa SEO, è inevitabile che anche le meccaniche e all’approccio alla disciplina deve essere aggiornato.

Il lavoro dei SEO: comprendere la domanda consapevole

Come si esprime la domanda consapevole? Beh, semplice: con le parole.

Non è un caso che uno dei termini che fa pensare istintivamente alla SEO sia “keyword”. Quando si parla di keyword, o della sua traduzione italiana in parola chiave, si fa riferimento a quello che l’utente digita nella barra di interrogazione del motore di ricerca.

L’effetto più immediato dell’inserimento di una keyword in quello che viene chiamato “query box” è la generazione di una SERP. Quello che viene effettivamente mostrato nella SERP è denominato Search Intent, o intenzione/intento di ricerca.

(Se vuoi saltare velocemente alle intenzioni di ricerca, al link trovi il contenuto in cui tratto cos’è il Search Intent e qual è il suo ruolo nella SEO)

Quindi, ricapitolando: 

keyword digitata nel query box > genera una SERP > mostra un Search Intent.

Ecco: comprendere questa equazione è forse l’unica cosa semplice dell’ottimizzazione per i motori di ricerca. Quanto meno, è l’unica cosa semplice se si fa davvero SEO e non ci si limita a trovare una manciata di parole chiave, metterle in un testo, nei tag e nelle ancore dei link che si acqui… sorry, ottengono

Applicando il trittico “keyword > SERP > Search Intent” all’evoluzione della capacità di ricerca degli utenti e di rispondere dei motori di ricerca, la definizione di SEO fornita all’inizio di questo articolo inizia a delinearsi in modo molto più netto e comprensibile. 

Come avrai già capito, gran parte della SEO ha a che fare con l’identificazione dell’universo della domanda consapevole degli utenti, quando si avvicinano a un obiettivo

Ma qual è l’obiettivo? Se la domanda consapevole è un insieme caotico di necessità e desideri, è facile aspettarsi un agglomerato potenzialmente infinito di frasi, parole, domande. Per comprenderla a pieno, e poterla legare efficacemente alla SEO, è necessario tirare in ballo un altro attore. Se hai studiato economia o marketing, avrai già capito di chi sto parlando.

Un mercato, nella forma più elementare, è formato da due entità. Una è la domanda, nel nostro caso gli utenti che cercano. La controparte è ovviamente l’offerta, la parte del tutto che offre qualcosa.

Sto parlando ovviamente del Brand.

La SEO ed il Brand

Il Brand è quel parametro che, accoppiato alla domanda consapevole (e quindi, di fatto, al consumatore), da vita a un concetto di SEO che va ben oltre l’insieme di strumenti e pratiche necessarie “per posizionarsi”. Che sfrutta le keyword, le query, i link, i core web vitals e tutto il carrozzone di tecnicismi tanto cari a chi fa ottimizzazione per i motori di ricerca, ma non ne rimane vittima.

La SEO come disciplina di marketing è analisi, comprensione, applicazione e verifica. 

  1. analisi di cos’è il Brand, quello per cui stai lavorando, e cosa ha da offrire alla domanda; 
  2. comprensione di come la domanda consapevole può essere applicata a quel Brand, nella ricerca degli interrogativi che potrebbero passare nella testa dei consumatori e per cui quel Brand dovrebbe rispondere, e che porta il SEO a elaborare una strategia; 
  3. applicazione, intesa come deployment della strategia da un punto di vista operativo, la fase che include gli “sforzi visibili” della SEO;
  4. verifica dei risultati dei primi tre punti, per analizzare se l’effort prodotto ha portato i risultati sperati, dove si può correggere il tiro, dove si può spingere ancora di più per sfruttare opportunità.

Ciascuna di queste fasi vive di regole e tempi. Tutte queste fasi sono cicliche e ricorsive.

Gli utenti hanno cambiato, perfezionato la loro capacità di cercare. E lo faranno ancora. Quindi le parole chiave che compongono la domanda cambieranno, come seta che scivola fra le mani, diventando più specifiche, più generiche, più dettagliate, includeranno richieste o tipologie di medium differenti: insomma, diventeranno altro.

Ed è logico aspettarsi che i motori di ricerca, come hanno sempre fatto fino ad oggi, tenteranno di adeguarsi a questi cambiamenti, per rispondere nel miglior modo possibile agli obiettivi di ricerca dei potenziali clienti. Aggiungeranno media nelle SERP, box di risposta veloce, consigli, suggerimenti, intelligenza artificiale generativa, e chissà quante altre cose il futuro ci riserverà.

L’analisi iniziale si ripete ciclicamente, così come la sua interpretazione e comprensione. Cambieranno le strategie e le lavorazioni programmate per raggiungere i risultati. E si verificherà di nuovo, per essere certi non tanto se le cose siano cambiate, ma come l’hanno fatto.

Le fasi della SEO

Facciamo un respiro e riprendiamo un attimo le fila del discorso, giusto per non perderci.

Siamo partiti dicendo che la SEO è una disciplina del digital marketing che si occupa di identificare, intercettare e sfruttare la domanda consapevole. Che questa domanda consapevole è espressa tramite keyword (o query che dir si voglia), e che queste keyword generano delle SERP, ciascuna dotata di un Search Intent più o meno definito. Abbiamo poi concluso dicendo che la domanda consapevole, espressa in keyword e query che generano SERP con Search Intent, rappresentano il punto di incontro fra i due attori principali di ogni mercato: la domanda (leggasi l’utente) e l’offerta (leggasi il Brand).

Bene. Ora la domanda è: come fanno i SEO a far sì che, delle decine (se va bene) o centinaia (se va meno bene) di possibili Brand che si contendono una fetta di utenza, proprio quel Brand (per cui il SEO lavora) riesca non tanto a prevalere, quanto a guadagnare delle posizioni utili?

É a questo punto che iniziano i tecnicismi. D’altronde, pensavi davvero che avrei parlato di SEO senza tirare in ballo, almeno una volta, la famigerata keyword research? O che non avrei parlato di link building, performance dei siti web e via dicendo?

Ovviamente no: non esiste una SEO priva di questi elementi. Spero però che sia passato il messaggio che volevo trasmettere. Che questi appena citati, e quelli che citerò fra poco (non li approfondirò qui, ma li troverai ciascuno in un contenuto dedicato, non fosse altro per fare un po’ d’ordine), non sono la SEO, ma gli strumenti per fare SEO correttamente. 

É come se prendessi un martello e, indicandolo, ti dicessi “questo è un fabbro”. Un po’ strano, non trovi?

La SEO è generalmente composta di fasi di lavoro, che hanno un senso e un obiettivo e, tanto per complicare ancora di più qualcosa di già complesso, possono essere eseguite con un’infinità di tecniche differenti. Oserei dire tante quante sono i SEO che fanno questo lavoro!

L’elemento aggregante, però, dovrebbe essere la funzione per cui si utilizzano i vari strumenti. Credo che nessuno riterrebbe usuale usare una sega circolare per fissare un chiodo. Viceversa, difficilmente si può tagliare una tavola di legno con un martello.

Proviamo da dargli uno sguardo dall’alto.

Analisi dei Topic: la domanda a livello Macro

É quella prima fase iniziale della SEO, quella in cui il professionista tenta di capire in che guaio s’è cacciato prendendo il progetto del cliente. É una delle fasi più delicate (e sfortunatamente sottovalutate dai SEO meno esperti) perché è quella che deve fornire le linee guida concettuali per l’impostazione della strategia prima, e operatività poi.

L’analisi dei topic è un lavoro di startup, che verte sulla comprensione di quali sono le domande che, a livello Macro, un utente potrebbe porsi per entrare in contatto con un Brand.

É una fase che viene prima della ricerca delle query, prima dell’analisi del Search Intent, prima dell’ottimizzazione dei singoli contenuti. Al contrario, è la fase che determina la keyword research, determina l’analisi del Search Intent, determina l’ottimizzazione dei contenuti. Semplicemente, determina ogni cosa.

Parlando di topic faccio riferimento agli argomenti del Brand. Non a domande troppo specifiche, ma le tematiche generali di cui il Brand dovrebbe parlare per rispondere alle domande di prospect e clienti.

Immagina di dover gestire la SEO di un e-commerce che vende articoli di make up. Oltre alle più “ovvie” domande legate alla vendita, esiste un substrato di informazioni che un potenziale consumatore potrebbe cercare, organizzabili in cluster: come si usano i trucchi, informazioni sui nutrienti presenti in determinati prodotti, confronti tra prodotti differenti, prodotti pensati per determinati inestetismi o problemi, tendenze sul make up legati a specifici periodi. Ma potresti trovare anche degli insights su determinati media: nel settore del beauty e del make up, ad esempio, vanno fortissimo video e contenuti su altre piattaforme, come reel e stories.

Questa analisi è l’ossatura del tuo progetto, lo scheletro su cui potrai costruire tutte le attività strategiche e operative, attribuire KPI e ipotizzare tempistiche a breve, medio e lungo termine.

Ricerca delle parole chiave: la domanda a livello Micro

Ora scendiamo un po’ più in profondità nella disciplina. Una delle fasi più importanti del lavoro SEO è la Keyword Research.

La ricerca di parole chiave, insieme alla scrittura dei contenuti, è spesso stata identificata quasi in toto con la SEO. É un misunderstanding, ma a ben vedere non è un’incomprensione sorprendente. Cercare le parole con cui gli utenti tentano di raggiungere i loro obiettivi online è ovviamente una parte fondante del lavoro dei SEO.

Una volta compresi i macro-argomenti che interessano un Brand, i SEO passano a cercare le parole con cui gli utenti perseguono i loro obiettivi. Lo scopo della fase di keyword research è ben noto, e riguarda:

  • trovare le parole chiave e i loro volumi di ricerca;
  • trovare parole chiave correlate a quelle prese in considerazione in fase di ricerca Topic, per aumentare – laddove possibili – i possibili punti di accesso degli utenti che arrivano dal motore di ricerca.

La fase di Keyword Research è una fase quantitativa: quello che interessa ai fini SEO, in questo frangente, è comprendere quante parole utilizzano gli utenti per raggiungere il loro obiettivo e quanti utenti utilizzano parole uguali, simili, dissimi o differenti.

Rimanendo nell’esempio originario, questa è la fase in cui un SEO scopre che circa 170 persone ogni mese effettuano una ricerca su “come si mette il mascara”. Ma anche che ce ne sono 30 che cercano “applicare il mascara” e 50 che optano per “il mascara si mette anche sotto”. 

Se vuoi approfondire la keyword research, dai un’occhiata qui: Keyword Research per la SEO.

Analisi del Search Intent: comprendere le parole

Andiamo oltre? Bene, le cose si fanno ancora più interessanti! Abbiamo trovato i macro argomenti che compongono la domanda consapevole dei nostri clienti, potenziali o attuali; inoltre siamo riusciti a individuare con la  keyword research le parole che gli utenti utilizzano per trovare le suddette informazioni sui motori di ricerca.

Adesso è arrivato il momento di circoscrivere il campo. Avrai intuito, o provato sulla tua pelle, che la ricerca delle parole chiave è un’attività molto vasta. La quantità di parole chiave, specialmente quando si lavora in settori particolarmente mainstream, può davvero arrivare a numeri impressionanti, al limite dell’ingestibile.

Analizzare il Search Intent riporta ordine nel miasma di informazioni raccolte in fase di keyword research. È l’attività di pulizia qualitativa di tutti i termini di ricerca selezionati a partire dalla fase di analisi dei Topic per finire in quella di ricerca parole chiave. Ed è tutta svolta attraverso l’analisi delle SERP

Esatto: interrogando il motore di ricerca con le keyword e le query raggruppate nella fase di keyword research, i SEO possono dedurre un’infinità di informazioni.

L’analisi delle intenzioni di ricerca permette di comprendere (o, alla peggio, quanto meno ipotizzare con un ragionevole livello di sicurezza) moltissimi meccanismi attraverso cui ottimizzare un sito web, tanto a livello strutturale e architetturale, quanto a livello di ottimizzazione dei singoli contenuti. E attenzione: ancora una volta, quando parlo di contenuti faccio riferimento a qualsiasi media sia conforme all’obiettivo di ricerca dell’utente.

L’output di questa fase è la catalogazione delle query, che vengono raggruppate o divise in punti di accesso organici. Ovvero, i vari punti d’accesso della domanda consapevole che abbiamo ipotizzato nella prima fase di lavoro, che trovano ora conferma attraverso l’analisi delle query nelle SERP dei motori di ricerca. Oltre a identificare l’obiettivo primario di una ricerca: l’utente vuole comprare? Vuole solo informazioni? Vuole raggiungere un determinato sito o è interessato a una particolare località? 

E ancora: che tipo di medium risponde meglio alla necessità? Un contenuto testuale? Un video? Entrambi con l’aggiunta di una foto, un’infografica, un elenco?

Tutto questo è un’analisi delle intenzioni di ricerca. Anche in questo caso, se vuoi approfondire l’argomento trovi il post nell’articolo dedicato all’analisi delle intenzioni di ricerca.

Attività pratiche: SEO OnSite e SEO OnPage

Questo è il momento in cui si mettono fisicamente le mani sul sito web. 

Nella mia esperienza, ho trovato molto utile suddividere le attività che si svolgono sui contenuti di un sito web con due termini che, sebbene largamente utilizzati nel gergo dei SEO, sono spesso citati come sinonimi: SEO OnPage e SEO OnSite.

Per quanto riguarda la mia formazione e il mio modo di pensare alle attività SEO su un sito web, trovo pratico scindere completamente i concetti di OnSite e OnPage, trattando:

  • la SEO OnSite come l’attività che si occupa di garantire la corretta indicizzazione dei contenuti a livello strutturale. Attività che include lavorazioni che impattano l’intero sito e la sua capacità di permettere un’agevole navigazione tanto ai crawler quanto agli utenti. Si parla, in questo caso, di lavorazioni come l’architettura di navigazione, le breadcrumbs, la gestione dei link interni, l’inserimento delle Sitemaps XML e simili;
  • SEO OnPage come l’attività che lavora sul ranking dei singoli contenuti di un sito web, e coinvolge lavorazioni come l’ottimizzazione dei meta-tag in pagina, del testo, del contenuto above the fold, delle immagini contenute in una pagina e via dicendo.

Se sei alle prime armi, non c’è nessun problema né distinzione ufficiale. La mia giustapposizione fra SEO OnSite e OnPage può essere comoda o sgradevole, a seconda dei gusti di ciascuno.

Per quanto mi riguarda, ritengo utile assegnare alle due attività lavorazioni che riguardano i due aspetti principali dell’ottimizzazione SEO: l’indicizzazione e il ranking.

Se vuoi approfondire queste due tematiche, sono online i due post dedicati: “SEO On Page: l’ottimizzazione dei contenuti” e “SEO On Site: ottimizzare un sito per i motori di ricerca“.

La popolarità dei siti web: la SEO OffSite

Un boost può essere necessario per convincere i motori di ricerca della qualità del nostro operato. É in questi casi che si finisce generalmente a parlare di link building e digital PR.

Nell’universo SEO esistono un’infinità di punti di vista diversi, spesso estremamente contrastanti, sull’utilizzo di tecniche di costruzione di link per l’accrescimento del ranking (ovvero, per migliorare nello specifico il posizionamento dei contenuti, nel generico l’apprezzamento dell’intero sito agli occhi dei motori di ricerca).

Alcuni SEO ritengono che costruire link verso i contenuti del proprio sito (leggasi acquistare link da siti terzi) sia inutile, talvolta addirittura controproducente. E sostengono, seguendo alla lettera le indicazioni dei motori di ricerca (primis fra tutti Google, che considera l’acquisto link una violazione delle sue linee guida, suscettibile di penalizzazione algoritmica e manuali), che i link andrebbero esclusivamente guadagnati, attraverso la creazione, pubblicazione e diffusione di contenuti di altissima qualità. 

Altri SEO si schierano sul versante opposto, sostenendo che nessuno (o quasi) regalerà un link al tuo sito, perché i proprietari dei siti web sono ormai consapevoli del valore che sta dietro i link, come i creatori e gli influencer conoscono più o meno bene il valore della condivisione di un contenuto nella loro community. Tra l’altro, questa tesi è obiettivamente supportata da un enorme mercato di compravendita di link per siti web (di cui l’esempio più noto sono le pubblicazioni di guest post).

Naturalmente, sono due posizioni volutamente estremizzate. La maggior parte dei SEO, come me, ritiene che fondamentalmente dipende dal mercato in cui stai operando, dall’ampiezza della competitività e dalla “potenza” del Brand. 

Per capirci: Nike, per risultare autorevole su contenuti legati allo sport, non ha necessità di ricevere link dall’esterno. Ne riceve (o guadagna, se vogliamo) un numero più che sufficiente grazie alla qualità dei suoi prodotti e dei suoi contenuti.

Di contro, se io decidessi di aprire un negozio di articoli sportivi online, probabilmente dovrei ricorrere a un po’ di “doping”. Al netto, sempre, di aver rispettato le fasi precedenti: prima devo dimostrare di essere rilevante con la qualità dei contenuti. Poi, se noto una certa “fiacchezza” nel raggiungere risultati, posso valutare di far sì che gli altri mi indichino come fonte attendibile in quello che dico.

SEO “tecnica”

Devo essere sincero: l’attributo “tecnica” messo vicino a SEO mi fa sempre un po’ sorridere.

Parliamo di una disciplina che si occupa di gestire infrastrutture web di qualsivoglia dimensione e metterle “in contatto” con dei potenti e complessi algoritmi. Tra l’altro, negli ultimi anni sono stati ampiamente potenziati dall’uso dell’intelligenza artificiale.

Come diavolo potrà mai non essere una materia anche tecnica?

Per fare SEO come si deve ci vuole qualcuno che comprenda molto bene  la lingua, che sappia leggere tra le righe, che sia capace di comprendere e creare collegamenti tra concetti, parole e contesti. Che sia, per quanto possibile, anche in grado di intuire e dedurre, partendo dai dati che i motori di ricerca mettono a disposizione, più involontariamente (ovvero, tramite osservazione diretta), che esplicitamente (ovvero attraverso le dichiarazioni spesso vaghe e ampiamente interpretabili dei loro portavoce).

Bene. Ma la pagina di un sito potrà mai caricare in 6 secondi? Potrà mai non avere un certificato di sicurezza per proteggere il sito stesso da perdite di dati e violazioni? Potrà mai essere così spaventosamente illogico, in termini di struttura e design, da rendere impossibile per l’utente (e per i vari crawler!) capire dove andare, cosa cliccare e, nei casi più estremi, cosa guardare per trovare le informazioni desiderate?

Incredibilmente, la risposta è NO.

La SEO è anche una disciplina tecnica in sè. Se vuoi fare SEO, hai senz’altro bisogno di developer, tanto frontend quanto backend. Per gestire le performance del tuo sito, la UX, per poter analizzare il comportamento dei crawler attraverso i log del tuo server. E tanto, tanto altro ancora.

L’importanza delle parole: la “SEO copywriting”

Qui si apre uno dei più grandi vasi di pandora del digital marketing e della SEO. E, siccome nella vita ogni tanto bisogna schierarsi, io questo vaso decido non di aprirlo. Lo spacco direttamente in pezzettini così minuscoli che nemmeno il Kintsugi potrà salvarlo.

La “SEO copywriting” sta a me un po’ come la corazzata Potemkin stava al ragioniere Ugo Fantozzi.

Non me ne vogliano i colleghi copywriter, o SEO, ma copywriting e SEO sono due discipline ampiamente correlate, ma altrettanto distinte. Si può scrivere con un occhio di riguardo ai motori di ricerca (e quindi creare dei contenuti ottimizzati, che strizzano l’occhio ai crawler), ma fare copywriting è tutta un’altra cosa.

Il copywriting, a mio parere, è la disciplina che si occupa di scrittura di testi di stampo pubblicitario o promozionale. I copywriter sono, erano e sempre saranno, quei creativi capaci di creare un payoff, un body copy, una sintesi di poche (o tante) parole per convincere un utente.

Questo non è lo scopo della SEO.

Certamente i contenuti ottimizzati per la SEO possono, e anzi dovrebbero godere di una passata sotto le mani di un copywriter, capace di infondere – laddove serva – uno slancio persuasivo al testo. Esattamente come il layout di una pagina web passa sotto le mani di un web designer o un esperto di UX.

Facciamo che ognuno sfrutta le sue capacità e le sue competenze? A beneficiarne sarà senz’altro il progetto nella sua complessità.

Monitorare e ripetere: la ciclicità nella SEO

È molto, vero? Beh, se sei arrivato fin qui soltanto per capire cos’è la SEO, probabilmente avrai capito la complessità di questa materia e sei già a posto così.

Se, invece, hai deciso che la SEO è il percorso professionale che vuoi intraprendere, ho una brutta notizia per te: questo è quello che dovrai fare ad libitum.

Indagare concetti e Topic, trovare parole, analizzarle e comprenderle, valutare come incrementare la popolarità del Brand del tuo cliente, come anche verificare che il tuo sito rispetti parametri di performance e responsività accettabili, e tutte le attività che ho accennato (insieme a tante, tante altre che non rientravano in questo post) saranno il tuo pane quotidiano.

Userai gli “strumenti del mestiere” (i vari Google Analytics, Google Search Console, Bing Webmaster Tool, gli strumenti terzi di SEO e Web Marketing), e il tool più importante che hai a disposizione (il pensiero), per capire se quello che stai facendo, le intuizioni che hai avuto, le deduzioni che hai tratto dallo studio di SERP, competitors e pubblico, stanno portando i risultati sperati, raggiungendo gli obiettivi prefissati e creare un vero vantaggio per il progetto.

Qual è l’obiettivo della SEO?

Ci siamo? Bene, siamo quasi agli sgoccioli di questa panoramica su cos’è la SEO oggi. Abbiamo visto per chi lavora la SEO, parlando di Brand e Clienti. Abbiamo approcciato rapidamente il concetto di domanda consapevole, parola chiave e Search Intent. E abbiamo visto quali sono le fasi che compongono il lavoro dei SEO Specialist, in una prima panoramica dall’alto.

A questo punto, per concludere la nostra panoramica sul mondo dell’ottimizzazione per i motori di ricerca, non rimane che rispondere a una domanda: a cosa serve fare SEO? In un mondo digitale oberato da contenuti e media, in cui ogni informazione sembra già stata data e i mercati sono così saturi da rendere le nicchie alla stregua di un’oasi nel deserto, quali benefici può fornire questa disciplina ai Brand?

Tanti. Tantissimi benefici. Quando si esce dalla sfera della “SEO per i motori di ricerca” e si entra nella dimensione della “SEO come strumento di comunicazione e digital marketing”, le possibilità si moltiplicano a dismisura. SEO è unire domanda e offerta in uno dei mercati ad oggi più redditizi del web: la pagine di risposta sui motori di ricerca. Non l’unico playground organico (ovvero non a pagamento), ma è senz’altro quello che raccoglie l’utente nel momento culmine della sua ricerca.

I risultati che la SEO può raggiungere sono molteplici:

  • può incrementare la rilevanza di un Brand agli occhi degli utenti e a quelli dei crawler dei motori di ricerca, coprendo tutti gli angoli possibili di una domanda consapevole;
  • può aumentare l’autorevolezza di un Brand, rendendolo disponibile in canali differente dalle sue stesse proprietà. Backlink, guest post, article marketing, diffusione sui Social Media: i posizionamenti non sono soltanto nelle SERP dei motori di ricerca;
  • può accrescere la platea di un Brand, con l’acquisizione di un numero sempre maggiore di utenti che atterrano sui contenuti del suo sito attraverso una ricerca organica;
  • può generare fatturato per un Brand, lavorando per incrementare il numero di conversioni (siano esse lead, transazioni o qualsiasi forma di guadagno il Brand stesso persegua onnline);
  • può fornire assist agli altri strumenti di digital marketing, concorrendo al perfezionamento delle strategie globale e aumentando il ROI del progetto.

Forse l’hai notato da te, o forse no. Tutti i punti sopra elencati sono strettamente collegati alle fasi della SEO di cui abbiamo parlato qualche paragrafo fa.

La rilevanza, in ottica motore di ricerca, è la completezza con cui uno o più argomenti vengono trattati nei contenuti di un Brand. La sua popolarità (o autorevolezza) è determinata da quanti utenti o altri Brand consigliano il nostro. Il fatturato o i lead possono crescere se, a domande vicine alla conversione, gli utenti trovano i nostri risultati nelle SERP. Così come una campagna pubblicitaria può beneficiare di migliori performance se gli utenti atterrano su una pagina ben ottimizzata, in termini contenutistici e di performance. 

Potenzialmente, un SEO Specialist può puntare tutti questi obiettivi, anche simultaneamente. I fattori che influenza la scelta su quali obiettivi prendere a riferimento per un progetto SEO, e quindi quali KPI tenere a riferimento, sono piuttosto semplici da immagine: il tempo e il denaro

Costi e tempi della SEO

Sgombriamo subito il campo prendendo di petto le due questioni che più incuriosiscono SEO Specialist alle prime armi e imprenditori: la SEO non è un’attività economica e richiede dei tempi tanto più lunghi quanto il settore di riferimento è competitivo e il Brand debole. 

Quanto costa fare SEO?

I costi della SEO dipendono fondamentalmente da 3 fattori:

  1. quanti SEO Specialist lavorano al progetto e qual è il loro livello di expertise;
  2. quanto tempo sul progetto deve essere investito, sulla base di quanta “fretta” ha il cliente e di quanto tempo ha/hanno necessità i/il SEO Specialist per produrre risultati;
  3. qual è l’investimento in termini di SEO OffSite per rendere il Brand autorevole abbastanza da competere con i suoi concorrenti nelle SERP.

Purtroppo, questi non sono gli unici costi che ci si può trovare a sostenere in un progetto SEO. Ad esempio, potrebbe rivelarsi necessario acquistare determinati tool, per velocizzare il lavoro o rendere più efficaci i dati che si ottengono man mano che il progetto evolve. Potrebbe essere necessario effettuare un upgrade della piattaforma tecnologica su cui il sito è ospitato (che sia un potenziamento del server o il passaggio, nel tempo, a sistemi di sviluppo web più performanti). Ci si potrebbe trovare nella condizione di estendere il raggio d’azione rispetto alla semplice ottimizzazione dei contenuti di un sito web, qualora il contesto di lavoro lo richiedesse.

Insomma, siamo lontani dai tempi in cui per fare SEO era sufficiente comprare un dominio e montare un sito in wordpress su un server di testing. Senz’altro è consigliabile sporcarsi nel mani in questo modo per acquisire esperienza sui motori di ricerca e sulle dinamiche che portano un Brand a raggiungere risultati nelle SERP.

Tuttavia, fare SEO a livelli competitivi per raggiungere obiettivi specifici, è un’attività tutt’altro che economica.

Quanto tempo ci vuole per raggiungere risultati con la SEO?

Non sono un gran fan dei dipende, perché ritengo il “dipende” un termine troppo inflazionato, soprattutto da chi fa fatica a motivare da cosa effettivamente dipenda la risposta che si vuole dare.

In questo caso specifico, però, non posso fornire una risposta che non sia condizionale. I tempi necessari per arrivare ad un risultato con l’ottimizzazione sui motori di ricerca non possono che dipendere da una miriade di fattori, differenti ma spesso cumulabili. 

Ad esempio:

  • quanto è competitivo il mercato in cui si lavora?
  • quanto è satura di informazioni la domanda consapevole?
  • quanto sono autorevoli i competitor?
  • quanto è autorevole il brand con cui il SEO Specialist deve lavorare?
  • quanto budget di investimento, sia in termini di ore-lavoro, sia in termini di pubblicità, il Brand può investire?
  • quanto ne investono i competitors?
  • quanto cambia il motore di ricerca che sto utilizzando?
  • quanto devo stare attento come SEO Specialist non soltanto per raggiungere risultati, ma per mantenerli?

Potrei andare avanti forse non all’infinito, ma sicuramente per molti altri punti. Non esiste, e non esisterà probabilmente mai, la possibilità per i SEO Specialist di garantire le tempistiche con cui i risultati possono essere raggiunti.

Ciò non significa approcciare la disciplina come un atto di fede, che prima o poi porterà dei risultati. Di contro, è totalmente insensato pensare di poter schedulare i risultati della SEO come si può fare con un processo produttivo lineare, dotato di step consequenziali e dai risultati previsti.

Conclusioni

Siamo arrivati alla fine di questo lungo viaggio introduttivo sulla SEO. Vorrei poterti dire che il più è fatto, ma mentirei. Il mondo dell’ottimizzazione per i motori di ricerca è vasto e sconfinato, in continuo aggiornamento e mutazione.

Intanto, spero però che tu abbia un’idea un po’ più chiara di cosa significhi fare SEO e che questa mia introduzione abbia sollecitato la tua curiosità e il tuo interesse su questa disciplina, così complessa ma al contempo così affascinante.

Andrea Becchetti

Sono un consulente SEO freelance e mi occupo di SEO e di marketing digitale. Questo è il mio sito personale, dove cerco di fare divulgazione e formazione a professionisti e imprenditori sull’ottimizzazione per i motori di ricerca e il digital marketing. Se hai necessità di aiuto con il tuo progetto, guarda la mia pagina di servizi SEO.

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